24 dicembre 2003

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L'Unità
di Fulvio Abbate
Non molto tempo fa, ho trovato nella casella di posta elettronica
un messaggio entusiastico dove, una voce da fan, comunicava esattamente
così: “Ciao a tutti, volevo avvisarvi che Flavio
Giurato ha vinto il Premio Ciampi 2003! Il merito è tutto
di Flavio e del suo grande talento. Ma un grazie sincero va a
tutti voi che avete avuto voglia di aiutarci in un progetto che
solo pochi mesi fa sembrava del tutto folle (cmq anche adesso....)
a presto con qualche informazione in più sulla prossima
uscita del libro CD. Andrea”.
Il cantautore Flavio Giurato, se non fosse che siamo amici da
molti anni, ci metterei un bel po’ a ricordarlo con chiarezza
assoluta, lui e la sua chitarra di marca ovation. Davvero, faticherei
a rimettere a fuoco il suo viso in pubblico, le copertine dei
suoi dischi, gli accordi e tutte le altre sue utopie d’autore
di canzoni.
Non è vero, scherzo, ed ecco che torna a piazzarsi subito
nel presente della mia memoria, come non si fosse mai mosso: è
il 1981, in tv c’è Carlo Massarini, con la sua trasmissione,
“Mister Fantasy”. Nella stessa inquadratura c’è
anche un bel ragazzo alto, l’aria del tipo di buona famiglia,
lacoste blu, e sguardo rivolto al mare di Ansedonia, Porto Ercole,
e così via fino a Orbetello, luoghi dove l’amore
diventa verso, diario di una certa estate romana. E’ proprio
lui, Flavio Giurato, che canta le canzoni del suo lp, “Il
tuffatore”, uno dei dischi più belli di quell’anno,
di più, degli anni Ottanta e oltre. Un disco, credo, prodotto
da Paolo Giaccio.
Ma cos’è che rendeva la cifra di Giurato così
straordinaria, al punto da suggerire, oltre a un’immediata
sensazione di nostalgia, perfino un’aria di rivolta, un
legame sentimentale inossidabile con il suo immaginario? Per cominciare,
diciamo, la sua malinconia siderale. E poi, l’impressione
che Giurato fosse lì a incarnare una specie di sentimentalismo
civile, nel senso più rispettabile della parola. Ma se
citassi soltanto “Il tuffatore”, comunque il suo lavoro
più noto, farei torto alle fatiche successive, a dischi
come “Marco Polo”, un lp “difficile”,
forse anche “estremo”, segno che quando c’è
da sperimentare Giurato non si tira indietro. E poi? Poi, c’è
il presente. La certezza che per alcuni Flavio Giurato non si
è mai mosso dalla scena. Tanto che una casa editrice di
Milano, la Addictions, ha deciso di dedicargli un libro, un gruppo
di scrittori “giuratiani” - fra gli altri, Tiziano
Scarpa - si sono ispirati ai suoi pezzi per scrivere dei racconti.
Anche il sottoscritto comunque, in fatto di riconoscimenti, ha
fatto la sua parte. Consegnandogli, mesi fa, il premio Teledurruti,
ispirato all’omonima trasmissione situazionista. Lo ha vinto
con “La Giulia bianca”, dedicata a Pier Paolo Pasolini,
ma anche un omaggio esplicito alle immagini della sigla della
trasmissione che lo ha rimesso al mondo dei media, se è
vero che un suo concerto in diretta di qualche anno fa, proprio
lì, a Teledurruti, resta un piccolo must, peccato che il
nastro che lo conteneva sia andato distrutto durante un incendio.
Peccato, davvero.

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